L’anno “Zero”: l'inizio di una nuova vita

L’anno “Zero”: l'inizio di una nuova vita

Sono sicuro che tutti voi ve lo ricordate molto bene anche se, magari, sono passati 5, 10, 20, 50 anni.

Mi riferisco al momento esatto in cui vi è stato detto “hai il diabete”.

Magari non ci avete pensato per anni, non ci avete più fatto molto caso, ed il ricordo di quel momento si è nascosto in qualche remoto meandro della vostra mente, quasi dimenticato. Eppure, se qualcuno vi chiede “Ti ricordi quel giorno?”… BUM…eccola li, nitida, l’immagine esatta di quel momento, come se fosse accaduto solo qualche istante prima.

Io quel momento me lo ricordo molto bene.

Era dicembre, avevo 12 anni, avevo appena festeggiato il mio compleanno e stavo aspettando che arrivasse il Natale (a quell’età, era un momento piuttosto importante dell’anno ☺ ).

Ricordo la festa per il mio compleanno di quell’anno, passata a divorare fette di pandoro, a tracannare qualsiasi tipo di bevanda preso da una sete irrefrenabile per poi chiudermi nel bagno di casa mia per una pipì che non sembrava avere mai fine.  

Ricordo il momento in cui ho salutato i miei amici dopo la festa. Baci, abbracci, ringraziamenti e poi…via di corsa: erano avanzate delle caramelle gommose e dovevano essere mie, TUTTE.

Non ero un bambino goloso, anzi. Sono sempre stato molto parco con lo zucchero, fin dalla tenera età.

In quel periodo, però, non sembravo più io: mangiavo per due, tre persone e… dimagrivo.

A 12 anni pesavo circa 37 kg. Praticamente ero uno stuzzicadenti con i capelli.

Ai miei genitori, a cui devo la vita (in tutti i sensi), scoccò la scintilla: mia madre, maestra nelle scuole elementari del mio paese, aveva avuto qualche anno prima una alunna diabetica, e riconobbe in me gli stessi sintomi che aveva avuto qualche anno prima quella ragazzina.

Decisero quindi di portarmi dal nostro medico di famiglia, per farmi visitare e confermare il terribile sospetto che avevano avuto.

Ricordo ancora quel momento. Ricordo che il mio dottore mi visitò, poi aprì un cassetto ed estrasse una scatola da cui tirò fuori un aggeggio piuttosto ingombrante. Mi pare di ricordare che inserì una striscia in questo strano oggetto e che tirò poi fuori una siringa (ora mi chiedo, perché una siringa, mannaggia la miseria?!) e mi prelevò del sangue che poi mise nella striscia. Mi mostrò quindi il numero che apparve nel display: 465.

E’ diabete” disse.

Fino a quel momento, avevo sentito parlare del diabete solo di sfuggita fra le batture di qualche film, ed ero convinto, estremamente convinto, che fossi spacciato.

Caspita, restarci secco a 12 anni non era proprio una cosa che avevo annoverato, fino a quel momento, fra le possibili pieghe che la mia vita avrebbe potuto prendere, quindi “accolsi” la notizia con un misto fra terrore ed incredulità.

Non può essere, sarà sicuramente un errore”.

Quanti di noi hanno pensato questa frase quando gli è stata pronunciata questa ardua sentenza destinata ad influenzare il resto della loro vita?

Se non tutti… quasi.

Anche io la pensai, più volte, e continuai a pensarla anche in seguito.

Ricordo che mio padre, che mi aveva accompagnato a quella visita, si sentì male. Il dottore lo stese sul lettino gli misurò la pressione.

Se per me la notizia era stata uno shock, non riesco ad immaginare che cosa fosse stata per lui. Ti dicono che il tuo unico figlio è affetto da una malattia da cui non si guarisce e di cui hai poche informazioni, ma dentro di te sei sicuro sia qualcosa di grave… mio padre è stato bravo ad avere “soltanto” un forte giramento di testa. Io, in quella situazione, sarei andato letteralmente a gambe all’aria.

Ricordo che quella sera, a casa, mi misi a montare un modellino di elicottero che mi avevano regalato qualche giorno prima a quella famosa festa di compleanno. Cercavo di non pensare a quello che era appena successo e alla visita al Centro Anti-Diabetico di Treviso che avrei avuto la mattina seguente, provando a simulare una parvenza di normalità.

In mio soccorso venne la mia manualità: il modellino venne da schifo, letteralmente una cosa aberrante, quindi, in apparenza, non ero cambiato almeno sotto questo punto di vista.

L’indomani mi presentai al CAD e mi dissero che avrebbero dovuto misurarmi nuovamente la glicemia, questa volta “solo” pungendomi il dito, per poter confermare la diagnosi del mio medico curante.

All’epoca ero letteralmente terrorizzato dagli aghi, dal sangue, e da tutte le fantastiche cose correlate a questi.

Più del diabete in sé e per sé, quello che mi spaventava di più era il rapporto che, stavo percependo, avrei avuto con tutte queste cose d’ora in avanti.

Quella mattina, al CAD, il controllo della glicemia che mi fecero confermò la diagnosi, facendomi “vincere” una settimana di ricovero: la mia nuova vita aveva ufficialmente avuto inizio.

Periodicamente ripenso, alla luce degli anni vissuti da quel momento in poi, al mio “giorno zero”. Ripenso a quanta strada ho fatto, a quante persone ho conosciuto, a quanto mi sono evoluto come persona.

Ne ho fatta tanta di strada dai primi “the alla pesca” di cui andavo matto e che mi avevano riproposto, dopo il mio ricovero, in versione “the caldo raffreddato con dolcificante”: un beverone imbevibile che mi aveva fatto pensare “se il buongiorno si vede dal mattino…”.

Ho fatto tanta strada dalle visite in ospedale di parenti ed amici, che cercavano informazioni su che cosa mi fosse successo, e dal momento in cui, al momento della dimissione, un paio di giorni prima di Natale (regalo più bello non avrebbero potuto farmelo), incontrai in bagno un altro bambino che era stato ricoverato con me per un’altra patologia e mi chiese se io fossi guarito, visto che mi stavano dimettendo.

Sono diabetico, non si guarisce da questo” è più o meno quello che ricordo di avergli risposto.

Credo che quella fu la prima volta che feci “outing”, e ricordo ancora gli occhi pieni di compassione con cui la mamma di questo bambino mi guardò dopo aver udito la mia risposta.

Oggi la mia missione è quella di trasformare il diabete da un “peso” ad una “opportunità”, cercando di migliorare la vita delle persone che condividono con me una storia del tutto simile a quella che vi ho appena raccontato (è proprio per questo motivo che ho creato SpeedyCarbo).

Non sono un medico, quindi non aspettatevi consigli di quel tipo da parte mia (sono già incasinato abbastanza a far “quadrare” le mie glicemie), ma sono qui per raccontare storie, riflettere, condividere racconti, esperienze ed emozioni, perché il primo passo per curare il proprio corpo, è prendersi cura di quello che frulla nella nostra testa.

"La felicità della tua vita dipende dalla qualità dei tuoi pensieri."

Marco Aurelio


PS: solo dopo essere stato dimesso ho scoperto che, negli episodi di ipoglicemia… altro che “the caldo raffreddato con dolcificante”!

 

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